Oggi era il “Cazziatoni-per-colpa-d’altri DAY” ma io non lo sapevo e così me ne sono beccato uno per motivi a me estranei!
In realtà avrei dovuto capirlo, il segnale c’era stato: stamattina presto ero in metro, provavo a scrivere “efficiente” su un telefonino con il T9, e sullo schermo è apparso “deficiente”. Pensavo fosse solo una cosa nuova imparata, e invece no, aveva ben altro valore, ma io non l’ho colto.
Serviva a farmi capire che talvolta, soggetti presentati al mondo come “fenomeni”, in realtà sono poco più che scaltretti che pensano di farla franca nella invisibilità delle loro azioni quotidiane.
E va bene, siamo solo all’inizio, va bene.

Durante la fase delle preselezioni per il cosiddetto “concorsone” per l’abilitazione all’insegnamento ho assistita perplessa alle discussioni fra gli amici che si preparavano ai quiz, costretti a memorizzare risposte impossibili a domande astruse: mi sono trovata accanto a persone serissime che si fermavano per strada gridando “32 palline rosse e 18 verdi”!, perdere ore a domandarsi perchè Giacomo presta soldi a Filippo e soprattutto quanto ci mettono i marinai a pelare cumuli di patate… Cosa c’entri tutto questo con l’insegnamento, ancora dobbiamo capirlo.
Nello stesso periodo mi sono trovata a rileggere un articolo su Walk on Job dedicato alle domande più bizzarre sentite ai colloqui di lavoro (un breve ed esilarante elenco lo trovate qui: http://www.walkonjob.it/index.php?option=com_content&view=article&id=956:cosa-faresti-con-un-milione-di-euro-le-domanda-piu-bizzarre-ai-colloqui-di-lavoro&Itemid=102).
Ora io dico: ma che domande sono!? Ma è questo il modo di selezionare i professionisti di domani? Volete metterli alla prova e valutare come gestiscono lo stress? Bene, chiedeteglielo! Semplicemente chiedeteglielo! Dall’alto delle vostre speculazioni filosofiche, al giovane precario che ha studiato e lavorato tanto-davvero-tanto domandatevi e domandategli come si è preparato per quel colloquio dal quale dipende il suo prossimo anno di lavoro e saprete se sa gestire lo stress e l’ansia, domandategli quante nottate ha fatto pur di rispettare le scadenze e capirete se tiene al suo lavoro. Volete valutare se è capace nella gestione dei fondi? Fatevi spiegare come inquadra nel suo stipendio affitto, abbonamento mezzi, spesa, acquisti, bollette, palestra… E capirete al volo se è in grado di gestire il budget che vorreste affidargli!
Io non capisco, sono una mente semplice e dietro a certi meccanismi e retropensieri proprio non riesco a starci. Ci penso da un paio di giorni, ma proprio non arrivo a capire perchè se si vuole conoscere ‘A’ non si chiede direttamente ‘A’, invece di ‘B – C x A’…
So soltanto una cosa, spero non mi capiti mai qualcuno che mi domandi quanto pesa una locomotiva o quante palline da golf riempirebbero la stanza. Spero nessuno mai mi faccia contare pinguini appiedati o mi chieda quanto Giovannino deve restituire a Pietro, nè se Susy e Rosy sono sorelle, per due motivi: primo perchè io rispetto la privacy dei suddetti e quindi non parlo, secondo perchè mi giocherei il posto di lavoro con una contro domanda: “ma tu altre cose da fare proprio no, eh?”!
Sta per arrivare il 20 gennaio 2013, II compleanno di 104curriculum! 
Io ancora non ci credo! Quando ho iniziato a scrivere il blog non pensavo affatto che sarebbe arrivato a questo traguardo, non pensavo che sarebbe stato visitato oltre 19.000 volte!
Un compleanno va festeggiato e mi piacerebbe che fossero i lettori di 104curriculum a festeggiarlo insieme a me: in questi 10 giorni rileggete il blog, scegliete il vostro post preferito, il post che non avete dimenticato, quello che sembra scritto apposta per voi, quello che vi ha fatto ridere, emozionare, arrabbiare e completatelo con un commento, un ricordo, un sorriso!
E poi giorno 20 gennaio 2013 si festeggia! Condividiamo ognuno il proprio post preferito, per vedere qual è quello più apprezzato!
Potete condividerlo sui social network, mandare il link per mail, parlarne con gli amici, pubblicarlo sui giornali, mandarlo a Mentana per i titoli o a Barack Obama per il discorso del giuramento!
Insomma, fatelo leggere il più possibile, è questo il modo migliore per festeggiare il blog!

A me nel frattempo non resta che dirvi grazie per tutte le volte che leggete il blog, che pretendete nuovi post, che commentate e criticate, che condividete e invitate i vostri amici a leggerlo!
Grazie per tutti i giorni di attesa del tarocco!
Grazie per l’incitamento a non smettere di scrivere, a non smettere di credere nella forza delle idee e degli ideali!
Una lettura, un commento una condivisione e 104 grazie… Anzi con quest’anno sono 208!

Ieri è morta la più grande scienziata italiana, Rita Levi Montalcini, e da ventiquattro ore, giustamente, sul web e sui giornali non si legge altro che di lei, della sua storia, del coraggio dimostrato, dell’intelletto fine ai limiti del comprensibile, della forza e della coerenza.
E’ una fine d’anno speciale questa di un 2012 che ci ha visto divisi su tutto e ora vede un Paese unirsi nel nome di una donna.
Qualsiasi mia parola si vada ad aggiungere a questo coro commosso e rispettoso sarebbe quindi solo inutile retorica. Rifletto perciò non su di lei, ma appunto sul coro di voci che ricordano, citano, condividono, twittano.
A colpirmi soprattutto è la ricorrenza frequentissima con cui, nelle dichiarazioni di uomini politici, amministratori, scienziati, esponenti del mondo culturale ed economico italiano, Rita Levi Montalcini viene elevata ad esempio per le nuove generazioni e per la popolazione tutta.
Certi uomini da due giorni parlano di esempio come se rivelassero l’arcano, come se in qualche modo finalmente capissero.
Per molte donne invece non è assolutamente la scoperta del giorno, lei è da sempre un esempio per chi ha deciso di dedicarsi alla ricerca magari emigrando all’estero o, in Italia stesso, spostandosi in un’altra città, per quelle che hanno sacrificato la loro vita personale per un lavoro impegnativo e appassionante, qualunque esso sia, per quelle che hanno studiato ore e ore per un concorso e poi si sono viste superare dal rampollo di turno.
E così, Rita è morta e se avessimo rispetto per il suo credo penseremmo che per lei è proprio finita, niente altra vita, niente preghiere, niente celebrazioni. Ma… Le altre?
Spero che questi uomini e donne di potere, qualunque sia il loro potere decisionale, si ricordino ogni giorno di queste loro parole e nel momento in cui potranno dare spazio e opportunità lavorative scelgano di dare reale contenuto a queste dichiarazioni e di fidarsi delle donne, quelle pensanti ovviamente.
Mi piace controllare spesso le statistiche di blogger per cercare di capire chi sono i lettori, quali sono i post preferiti, a che ora leggono il blog, da quale sito ci arrivano. Il dato che preferisco seguire è la provenienza geografica di chi legge “104curriculum”; la maggior parte di voi si connette dall’Italia, ma ogni giorno vengo sorpresa da nuove provenienze: ogni tanto appaiono isolati e sparuti lettori da posti lontani come Mauritaria, Cile, Nigeria, Dubai, Giappone, Indonesia; sono tantissimi quelli che si collegano dall’Europa (Germania e Inghilterra soprattutto), dagli Stati Uniti e, ultimamente, dalla Russia.
So che in molti casi potrebbe trattarsi di semplici rimbalzi di server e magari a leggermi assiduamente sono i vicini del palazzo di fronte, però mi piace anche pensare che davvero molti di voi siano dall’altra parte del mondo a vivere la propria vita diversissima dalla mia e fermarsi ogni tanto a leggere le avventure comiche e le riflessioni di una precaria qualunque. Mi piacerebbe conoscere qualcosa di vuoi, sapere chi siete, qual è il vostro lavoro, i vostri sogni, la vostra famiglia, le novità che vi aspettate e la noia dalla quale vorreste fuggire. Scrivete un commento qui, raccontando la vostra storia per costruire un ideale libro dei lettori di 104curriculum!
Vi aspetto!

With a little help from my friends” canta gloriosamente il buon Joe e questo è un po’ il mio motto di vita: con un piccolo aiuto dei miei amici, riesco a fare mille cose che altrimenti non riuscirei a fare…
Il primo a salvarmi è Marcello, che borbotta sempre per il mio continuo vivere fra disordine e ritardo, ma poi mi accompagna di corsa agli appuntamenti, cucina mentre io lotto con la stampante e alza gli occhi al cielo piuttosto che rimproverarmi!
Poi ci sono le amiche e le colleghe: le chiamo, anche ad orari improbabili, e mi inviano quel file prezioso, rileggono i miei documenti, mi danno un consiglio, così mi sento molto più sicura e tranquilla!
In questa rete di aiuti pratici rientrano anche mia mamma e mia sorella, che dall’altra parte dell’Italia, quando sono sotto scadenza, si ritrovano a modificare e correggere testi improbabili!
Mi piace pensare di essere anch’io di aiuto per tutti loro in qualche modo, magari con un suggerimento, un po’ del mio tempo, un abbraccio al momento giusto…
Credo con convinzione che il lavoro di ognuno di noi non sia solo quelle capacità e competenze che cerchiamo di descrivere al meglio nel cv, nè soltanto quella rete di rapporti professionali magari piene di nomi altisonanti che dovrebbero aprire chissà quale porta mentre spesso somigliano più a degli spioncini…
Il lavoro di ognuno di noi è anche quell’insieme di forze sulle quali sai di poter contare anche nei periodi più faticosi e strani; il nostro mondo lavorativo è fatto anche e soprattutto di quei passaggi in cui ti ritrovi accanto persone stupende che fanno per te quello che tu non sapresti o non potresti arrivare a fare e lo fanno con una lievità e una disponibilità autentica davanti alle quali non puoi dire più che “grazie“.
Ad ispirarmi queste riflessioni è stata anche una mia amica che è modello “Wonderwoman al contrario” (una super eroina mascherata da Normale Ragazza Italiana): arriva a fare mille cose al giorno, la sua borsa è piena di idee entusiasmanti e giocattoli dei figli, piena di rigore morale e fantasia e ha l’entusiasmo di chi riesce a coinvolgerti nel suo lavoro popolato da affreschi, mosaici e dinosauri contemporaneamente!
Da un po’ di tempo, ha coinvolto sua sorella nel proprio lavoro, commissionandole fantastiche torte per festeggiare ricorrenze ed eventi professionali (belle e buone, le trovate su http://latortadeisogni.blogspot.it/2012/11/buon-compleanno-adm-ovvero-prima-o-poi.html, partendo proprio dalla torta “di lavoro”).
Certo, conoscendo il piglio da simpatico sergente della mia amica e ripensando spesso al tono delle mie richieste di aiuto – che talvolta risulta stranamente minaccioso – mi viene il dubbio: sarà stata richiesta di collaborazione, cooptazione verso la buona causa o vero e proprio schiavismo…!?
Poco importa, basta formalità!
L’importante è ricordarsi che sì l’unione fa la forza, ma l’unione di diverse capacità fa la vittoria!
Grazie di cuore a tutti!

Secondo voi si può vivere serenamente senza orari, senza disponibilità economica, senza alcuni oggetti funzionali, senza un posto dove stare, senza i documenti richiesti?
Probabilmente per gli apolidi si, è possibile; e magari lo è anche per le carovane romantiche dei nomadi.
Per il resto, è più difficile… Per questo motivo chiediamo e richiediamo a gran voce che il lavoro abbia un contratto ed un compenso.
E se nicchiano, citano difficoltà insormontabili riconducibili al livello del cane che ha mangiato i compiti o del nonno morto per la ventesima volta, se pretendono pazienza e comprensione, giriamo loro la domanda:
come fareste voi senza documenti e senza soldi?

Sinceramente, non ne posso più di leggere sui giornali gli aggiornamenti e le dichiarazioni del caso sul processo in cui sono coinvolte le cosiddette “Olgettine”! Anzi, sinceramente mi sono proprio rotta di sentirne e sentirle ancora parlare (o blaterare, o biascicare, o cinguettare, o sproloquiare)… Ecco, l’ho detto!
Per settimane, mesi, anni (!) mi sono forzata a non farvi riferimento, a non citarle neanche una volta, a non dare loro un minimo spazio qui, un blog pulito e serio, ma adesso basta, non ne posso più e lo voglio gridare al web!
Questo mio post è un appello, quasi un’accorata preghiera ai giornalisti: non parlatene più!
Capisco che l’appeal di certe notizie è alto, fanno vendere copie su copie, se ci aggiungi anche foto – spesso ammiccanti e decontestualizzate – le puoi passare sui rotocalchi di più basso livello, le retweettano e condividono tutti e questo già di per sè costituisce motivo valido alla pubblicazione, ma fermatevi un attimo e pensate a noi.
Noi siamo le Normali Ragazze Italiane. Siamo coetanee o poco più grandi delle allegre comari, ma con metà, un quarto, un decimo dei loro armadi e cento, mille volte i loro pensieri e problemi.
Noi siamo quelle che ci alziamo la mattina presto e magari prima di andare a lavoro sistemiamo casa e ci prepariamo il pranzo per l’ufficio per non spendere troppo in giro, siamo quelle che i ristoranti di lusso che loro frequentano non sappiamo neanche dove sono (e non vogliamo neanche saperlo, sinceramente). Siamo senza tredicesima e quattordicesima, ma con mutuo e spese uguali agli altri; siamo lavoratrici normalizzate precarie, siamo quelle che i sogni non li tengono nei cassetti, ma si impegnano ogni giorno e lavorano fino a notte fonda per realizzarli senza aiutini e agevolazioni.
Siamo quelle che in palestra ci vanno con lo sconto, dal parrucchiere quando si può e inseguiamo le offerte del supermercato.
Siamo quelle che le tasse per l’università le hanno pagate, quelle che hanno aperto un’attività con le proprie forze, che hanno tutti i timbri su visti e permessi.
Siamo quelle che incontrate nei cinema e nei teatri, nelle librerie e alle mostre, perchè se c’è un bene di qualità per cui val la pena spendere per noi è la cultura in tutte le sue forme.
Siamo quelle che incontrate per strada, quelle che sorridono per una bella giornata di sole, perchè sono riuscite a ritagliarsi finalmente un’ora tutta per sè, siamo quelle che reggono una famiglia, una rete, un gruppo, un’azienda.
Siamo anche quelle di noi che a tutto questo aggiungono tempo, pazienza e impegno per i figli.
Siamo quelle così indaffarate che ad esempio questo post ce l’ho in testa e nel cuore da giorni, ma ho avuto solo oggi il tempo di scriverlo.
In altre parole, siamo quelle più offese da questa vicenda, siamo le più offese da certe dichiarazioni, siamo le più offese da quei 2.500 € al mese, siamo le più offese dal “cosa c’è di male se” e tutte le sue declinazioni.
Siamo offese da tornare a casa la sera stanche, soddisfatte, confuse, impegnate, perplesse, energiche, speranzose o disfatte e doverci trovare davanti – nei tg o nei giornali che finalmente solo di sera riusciamo a leggere – quelle facce rilassate, truccate, pettinate, distese e splendenti di gioielli spesso falsi come i loro sorrisi. E non ha veramente più alcuna importanza se siamo di destra o di sinistra, se viviamo a nord o a sud, in un piccolo centro o una grande città. Non è l’aria del continente nè il respiro soffocato della provincia, siamo semplicemente offese a qualsiasi latitudine e altitudine.
Voi, cari giornalisti, è giusto che facciate il vostro dovere di informazione al Paese, ma ormai i termini e le sfumature della vicenda sono chiari a tutti, anche a chi non li vuole ammettere o vedere, per cui, per favore, avvisateci direttamente sull’epilogo e risparmiateci fastidiosi e offensivi particolari. Togliete le luci della ribalta da questa gentaglia e riportatele sulla notizia.
Grazie.
Angela e tutte le NRI.
Troppo spesso ormai chi lavora in ambito culturale dimentica un dettaglio fondamentale: qualunque sia il suo ruolo, la sua provenienza, la sua missione, dovrebbe pensare che lavora a servizio di qualcuno, lavora a beneficio di un’esperienza culturale che 1, 100 o 1.000 persone hanno diritto a vivere nel migliore dei modi, anche se si trattasse di un servizio gratuito.
L’idea di servizio, in certi ambiti, in realtà non ci appartiene: ne sono l’esempio palese certe aziende dei trasporti che quando i loro mezzi sono in ritardo, piuttosto che scusarsi per i disagi, cercano ogni escamotage per risparmiare sui rimborsi o addirittura sul semplice buono-pasto che scatta superato un certo numero di ore di ritardo.
Nei lavori della cultura, però, l’assenza di spirito di servizio al partecipante, che sia una mostra, un concerto, o anche solo l’acquisto di un libro, in certi casi è davvero lampante.
Una mia amica ad esempio è stata protagonista di un episodio per me pazzesco: biglietti omaggio per una famosa mostra in corso a Milano, nonostante questo ore di fila; bambini curiosi di vedere i quadri di un famoso pittore, ore di fila; gruppetto partito appositamente da Biella per dedicare una domenica alla cultura, ore di fila; programmi saltati, per colpa di queste ore di fila, impossibilità di accedere, per ore di fila… E potrei continuare.
Cosa ha fatto, secondo voi, la gloriosa istituzione? Ha rigirato l’omaggio su un’altra data? Ha offerto un intrattenimento adatto ai bambini per non farli stancare? Si è scusata? No!
La gloriosa istituzione si è lasciata rappresentare dalla guardia giurata in turno che ha approfittato della divisa indossata per trattare male e deridere pubblicamente i bambini che avevano osato chiedere quanto ancora sarebbe durata la fila! Per fortuna non c’è neanche bisogno di dire con chi hanno immediatamente solidarizzato gli altri presenti in fila, in particolar modo gli stranieri…
E’ un episodio terribile, che racchiude tutto quello che non dovrebbe trovarsi nelle attività di un ente culturale: ha la maleducazione, la tracotanza, la mancanza di rispetto; ha l’assenza di riguardo verso bambini, adulti, italiani, stranieri. Ha una visione miope del pubblico come cliente al quale chiedere fino all’ultimo centesimo e non offrire altro che emozioni standardizzate. Ha l’incapacità di reinventarsi un problema (lunghe file all’accesso) trasformandolo in opportunità (area giochi? servizi didattici? servizi di ristoro? biblioteca temporanea?), ma soprattutto ha la vanesia e la superbia di chi vuole vedere solo i titoli sui giornali inneggiare alle lunghe code di attesa, come se l’emozione che ti da la partecipazione ad un’attività culturale si potesse misurare nei metri della fila alla porta o nella noiosità dei tempi di attesa.
Ci sono soggetti, enti, gruppi, che si specchiano nelle facce dei loro interlocutori, interpretandone bisogni e istanze, anticipandone i desideri, ricevendo la loro attenzione in cambio della quale regalano loro il proprio riguardo.
Altri soggetti, invece, sono appena stupidamente capaci di specchiarsi solo in sè stessi.
Oggi ho ricevuto una telefonata che mi ha ricordato un episodio accaduto più di un anno fa che mi sono sempre ripromessa di raccontare qui sul blog ma che è stato sempre scartato perchè non sono mai riuscita a trovare le parole adatte… Forse non ci sono riuscita neanche questa volta, ma ci provo…
Avevo da poco iniziato un nuovo lavoro, quindi nuovi colleghi, un nuovo ufficio (all’interno di una bellissima e frequentatissima biblioteca) e, ovviamente, tutta la voglia immaginabile di dare un’ottima impressione, da professionista seria.
Una mattina mi telefonano dal banco prestiti all’ingresso e mi dicono che ci sono alcuni miei amici, passati a salutarmi. Mentre scendo le scale mi domando chi potrebbero essere questi amici, in un orario da lavoro… Giro l’angolo e mi trovo a 4-5 metri quattro persone, età media 70 anni.
Uno di loro, che giuro non avevo mai visto, urla in dialetto siciliano, che traduco per tutti: “sei precisa a tua nonna, Angelina “la lanternara”! (Angelina, nonna paterna, era detta “la lanternara” perchè durante la guerra, marito al fronte e quattro figli, aveva una bottega in cui vendeva di tutto, lanterne incluse, ndr.).
La biblioteca in quel momento era strapiena di giovani studenti, mamme nella sala infanzia, anziani dell’emeroteca, bibliotecari, fattorini: tutti, si sono girati tutti. Prima a guardare lui e poi verso di me, che velocemente cambiavo colore neanche avessi corso i 100 metri. Pure le copertine dei libri si sono girate a guardarmi! Pure loro cercavano di immaginare la somiglianza.
Un momento di imbarazzo lungo, infinito, ma evidentemente non abbastanza, ancora poteva durare!
E infatti la donna accanto a lui, anche lei mai vista, sbotta: “ma che dici, ma non lo vedi che è precisa a Laura??? Tutta sua madre è!” (Laura, mia mamma, quindi nessuna immaginabile somiglianza con la nonna paterna di cui sopra, ndr.). Di nuovo i presenti, libri inclusi, si girano dal loro lato e poi verso di me, che non riesco a fare altro che abbozzare un sorrisino e bisbigliare “ma che ne dite di prendere un caffè fuori?”.
La scena, come potete immaginare, aveva un sapore vagamente ondeggiante fra il folkloristico e il comico, con tutti i presenti che mi guardavano ridacchiando incuriositi.
Prendo gli amici sotto braccio e piano piano li guido verso il bar, togliendomi dal contesto più imbarazzante che mi fosse capitato a lavoro!
Mi presento, ma non è necessario, loro mi conoscevano benissimo! Erano dei compaesani amici – forse anche parenti – di mio papà emigrati al nord che mi hanno vista crescere (…?) da estate a estate.
Alla fine erano pure simpatici, ci siamo aggiornati fino al settimo grado di parentela e ci siamo ripromessi di vederci presto (“si, ma altrove”, mi verrebbe da dire)…
L’indomani mi sento osservata e vedo sorrisini ironici… Una sola non riesce a trattenersi, la bibliotecaria del banco prestiti: mi guarda e… “Ma che lavoro faceva sua nonna…?“!
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