Il consiglio Aggratisse non del giorno, ma di una vita è NO! Non fatelo! Nessuna ultima occhiata, nessun giusto-per-sapere-poi-provvedo-domani, NO! Potrebbe succedervi l’impensabile, come è successo a me.
Ad ogni modo, il fax l’aveva mandato lui, che non può però semplicemente correggere il numero del destinatario (magari su questo non è d’accordo con sè stesso, chissà) ed inviarlo a quello corretto, eh no, troppo facile… Devo farlo io! Mi chiede quindi di inoltrare il fax al numero esatto di destinazione…
Il mio senso civico prevale ed ubbidisco… NO! Voi non lasciatelo prevalere!
Il mio fax è online, quello del comando di polizia no e non potevano leggere la mail, per cui ho dovuto prima telefonare, verificare il numero, stampare il fax e inviarlo, contemporaneamente salutando con la manina l’intenzione di uscire dall’ufficio ad un orario decente.
Riassumendo, consiglio Aggratisse: ci sono momenti, che solitamente si concentrano fra le 18.00 e le 18.30, in cui, credetemi, il vostro senso civico può proprio aspettare!
Giovedì mi manda una mail, c’è ancora qualcosa da fare e correggere su quel lavoro; beh, ha mandato una mail, se fosse stato urgente avrebbe telefonato, per cui penso che non sarà urgente… Rileggo la mail e la scadenza è le 7.00 dell’indomani mattina! Lo chiamo perplessa, altro mezzo sorriso, altra naturalezza nella voce: “Angela, ultimo piccolo miracolo“…
Ieri sera altra mail con ulteriori aggiunte in scadenza oggi! Il commento, neanche a dirlo, “almeno stavolta hai più tempo a disposizione per il miracolo“.
Qua i dati da segnalare sono due:
1. Avrete notato che il pacco andava crescendo di giorno in giorno.
2. Con “Tu che non credi ai miracoli, ma li sai fare” il buon De Gregori intendeva tutt’altro.
Le osservazioni da fare, di conseguenza, sono due:
1. Sarà pure gratificante la stima dimostrata, ma un lavoro normale e i giusti tempi no, eh!?
2. Non credo ai miracoli e non ne voglio fare!
La vita del precario è una somma di lavori, anche diversissimi fra loro, che si susseguono – nella migliore delle ipotesi senza sosta – e diventano causa di gravi crisi di identità quando si tenta di metterli su carta in fila uno dietro l’altro. A volte, a vederli dettagliati nero su bianco, si evidenziano le differenze abissali fra un incarico e l’altro e si teme di dare l’impressione di aver improvvisato per tutta la vita, prendendo quello che passava il convento senza un percorso, senza un progetto.
Crisi che si acuisce se si comincia a dare ascolto a sedicenti consiglieri e consulenti: fai un cv creativo, metti tutto, non mettere niente, specifica, metti in nota… Crisi di proporzione abissale se ci si confronta con le richieste della pubblica amministrazione, una asettica cronologia di date e luoghi.
Crisi che non ti lascia, quando vorresti che l’inchiostro da solo spiegasse come mai hai svolto quell’incarico assurdo, o come mai hai lasciato il lavoro più sicuro del mondo; in quei momenti in cui vorresti spiegare che quella collaborazione così strana, iniziata quasi per caso, ti ha poi portato amicizia, viaggi, lunghe ore di chiacchierate, scontri, dubbi, incontri e tutte quelle sensazioni ed esperienze così umane e indimenticabili che solo narrarle le svuota di significato. Quei momenti in cui vorresti spiegare che ci sono lavori che hai lasciato e che non rifaresti più, ma nati in occasioni delle quali rimpiangi il contesto.
Quei momenti in cui ti chiedono “ci dica qualcosa su questo incarico” e tu sai che non potrai mai narrare di ciò che ha contato veramente, quando ti chiedono “l’esperienza maturata durante questo periodo?” e tu non riuscirai a parlare se no di banalità, se non di cose di cui non ti interessa proprio nulla.
Quei momenti in cui guardi quella pietra incastonata in una fila di perle, e tutto è cambiato e qualcuno se n’è andato, e vorresti solo che tornasse perché c’è ancora tanto da dire e da fare.
Devo dire che stavolta sono riuscita ad essere più seria, anche se qualche chicca scelta e selezionata c’è… E non solo mia, sta a voi scoprire qual è farina del mio sacco!
1. Lesson n. 1: i maltesi parlano bene inglese, forse qualcuno non benissimo, ma molti si. Forse i genitori fanno bene a mandare qui i figli a studiare, forse no. In ogni caso non è necessario dirlo davanti ad un maltese.
2. A tutta birra. Dicono che a Malta sia tipica la birra al limone, buonissima bevanda fresca, dissetante, leggera. Basta saperla ordinare, perchè se ordini una birra con tanto limone, ti ritrovi con tre quarti di Sprite e un quarto di birra, e non va decisamente bene!
3. Perle di saggezza: don’t buy souvenir, buy superbeer!
Beh, bella Malta, strana… Bello più di tutto che “Dio” lo chiamano Alla (accento sulla prima a). Qui gli scambi di elementi fra le diverse religioni dimostrano quant’è bello integrare e quanto è facile…
A Malta, w ENVOY!
Come si potrebbe tener testa alla stanchezza e al sonno?
Come ricordarsi di dover mangiare, bene, riposare senza qualcuno che te lo ricorda?
Come distrarsi un po’, senza qualcuno che ti faccia ridere e divertire?
Tu, il lato umano del troppo lavoro.
Dentro, a distanza di due anni e più, sono felicissima di ricominciare a lavorare su sviluppo sostenibile e gestione integrata delle risorse, progettare percorsi turistici e culturali che salgono fino al vulcano e scendono dalle Forre, entrano nei teatri e scarpinano in mountain bike, vanno a cavallo e sanno di archeologia.
Preparo bandi e progetti qui in questa città che sa di casa, ma respiro un’altra aria, che mi riporta a casa.
Spieghi, non capisce.
Spieghi, non capisce.
Aggiungi esempi, citi parallelismi, tenti astrazioni, non capisce.
Alzi la voce, ti animi, non capisce.
Tenti la strada del sorriso, non capisce.
Riscrivi il testo, non capisce.
Puoi tranquillamente passare al gatto a nove code, le attenuanti sono tutte dalla tua parte.
Un consiglio per voi, un grazie a chi mi ha dato questo consiglio, un gatto a nove code a chi l’ha ispirato!

Andando oltre le parole utilizzate, che non dovevano essere quelle, l’idea di base la condivido da sempre: evitare accuratamente il lavoro che dura una vita per cercare ogni giorno di fare quello che più mi piace!
E così non mi sono iscritta alla scuola di specializzazione per l’insegnamento, pur sapendo che nel giro di poco tempo magari sarei passata di ruolo e avrei avuto accesso al posto fisso. Ho evitato accuratamente di causare traumi a generazioni di alunni incolpevoli e di incatenarmi a vita ad un ruolo che prima o poi (prima, molto prima…) mi avrebbe stancata, annoiata.
Effettivamente sapere oggi che fra trent’anni farò ancora la stessa cosa, un po’ mi angoscia.
Potremmo andare anzitutto verso una flessibilità interna ad un posto di lavoro comunque garantito, perchè non è detto che, pur mantenendosi all’interno di una certa organizzazione o di una certa azienda, di uno stesso ente, non si possa ad un certo punto cambiare ruolo o funzione quando lo si voglia. Certo lo stato è un gran macchinone e non può stare alla mercè di chi all’improvviso decide di essere stufo di un compito e vuole cambiarlo, ma si potrebbe cominciare a pensare ad una scansione temporale entro cui al lavoratore viene chiesto di decidere che strada prendere, magari con step pluriennali.
La pianificazione faticosa, la strada è lunga, ma non è detto che non si trovi un soluzione.
Dicono che il nostro nuovo modello di organizzazione del lavoro è la Danimarca e io ci spero tanto!
I danesi mediamente, nella loro vita professionale, cambiano 7-8 lavori, girano da un’azienda all’altra, da un progetto all’altro sapendo che, investendo su se stessi, il prossimo lavoro è sempre dietro l’angolo.
L’importante è che del modello danese ci arrivi tutto, ma proprio tutto: le possibilità e la vastità di offerte che rendano il precariato attuale una flessibilità interessante, l’assistenza sociale che copre ogni momento della vita e non la latitanza del welfare italiano, la parità di accesso al mondo del lavoro per tutti, l’ottimismo, l’intraprendenza e tanto altro.
Personalmente poi non mi piace avere paura dei cambiamenti, che magari portano con sè l’opportunità che cerchiamo da una vita!
Forza ragazzi, ottimismo! A quanto pare, non c’è del marcio in Danimarca e se portano in Italia il modello danese… A noi ragazze va in ogni caso bene!