Il fumettista, o il caricaturista, il disegnatore… Insomma, quello che scarabocchia invece di prendere appunti, quello che a scuola riempiva tutto il banco, la riscossa d’orgoglio della prof. di disegno, quello che evidenzia con maestria i difetti, quello che ogni politico vorrebbe accanto perchè sa renderlo simpatico con il suo tratto ironico.
Il fumettista, una professione talvolta non professione che ti resta attaccata dentro a vita, come la matita nel temperino!
Il fumettista non ha un volto, non si sa neanche bene se esiste davvero… Appare ogni tanto con le sue belle caricature e poi scompare, a disegnare chissà cosa, chissà chi…
Potete però bloccarlo ed averne un pezzettino tutto per voi, per personalizzare i regali di Natale o disegnare in modo speciale persone speciali, ve lo consiglio… Come? Ve lo spiega lui su  http://luciferocomics.blogspot.com/2008/11/idee-regalo-per-natale-by-lucifero.html

Forse era il primo consiglio che avre dovuto darvi, forse è la base di tutto, lo scioglinodo (ho appena inventato una parola?) che libera il gomitolo, ma forse è solo per alcuni.
Il consiglio di una vita, cari miei, viene da un mezzo pomeriggio di acceso dibattito, anche meno, una mezz’ora di scambio e rimpallo continuo alla fine del quale ho pensato “Ah si? Così dici tu?” e ne ho dedotto che… I paletti, visto che esistono, vanno messi e i puntini sulle “i” pure!
Quella cordialità da collega espansiva, quel vago lasciar fare alla discrezione di ciascuno, quel risolvere problemi altrui coprendoli e impegnandosi, tutto questo… Basta con questi comportamenti!
Se vi capita un collega deficiente, non necessariamente in malafede, si sentirà autorizzato a pensare di essere al lunapark, per un lavoro formula chiavi in mano, tutto incluso, pure il far niente.
Se vi capita una collega intelligente e sensibile, entrerete in solidale sintonia e tutto sarà più semplice.
Se vi capita un collega intelligente ma riservato, continuerete a lavorare tranquilli vicini separatamente, senza sprazzi e senza strazi.
Se vi capita invece lei, la finta ingenua, la finta apprendista, la finta solidale, insomma, La finta… Allora senza paletti e senza puntini sulle “i” siete rovinati: dovrete riguadagnarvi quanto vostro in un complesso percorso di spiegazione delle differenze fra tuo e mio, ospite e legittimo, collega e amico d’infanzia.
Dunque, amici miei alla ricerca di una guida negli atteggiamenti da tenere sul posto di lavoro, miei cari lavoratori vessati da un precariato impietoso, cari simpaticoni che tendete a fare amicizia pure con gli armadi dell’archivio e parlate con le piante del davanzale, sentite me: puntini sulle “i” e pure sulle “u” fin dai primi giorni, paletti sempre, chè se continua a far finta di non capire, potrete sempre giocarci a baseball!

PS. Lo so, come vi avevo detto è un consiglio non per tutti, un consiglio valido solo per chi i puntini sulle “i” li piazza sempre e comunque, senza bisogno di consigli e raccomandazioni, perchè la natura l’ha cavato fuori così.

Racconta, racconta e racconta, domanda, scrive e domanda.
Domanda, risponde, narra dettagli, enumera cronostorie tenendoti sveglio fino alle tre di notte…
Non lo fa apposta, semplicemente per lui il mondo non si ferma mai, è un giornalista! Ha sempre una storia da riportare e non si rende nemmeno conto che tu alle tre di notte vorresti semplicemente dormire e non t’importa nulla delle politiche di sviluppo sostenibile per le foreste cambogiane o di altri similmente leggeri argomenti.
Fantastici gli amici giornalisti, persone sempre curiose, critiche, attente! Libere e oggettive!
Li riconosci fra mille, con quel piglio intraprendente e vagamente complottista, con quel sorriso deliziosamente malizioso di chi, mentre ti fa credere di ascoltare le tue banalità, in realtà pensa di estorcerti grandi segreti di stato (pensa), con quella goffaggine con cui nascondono microcamere sotto al bavero del cappotto…
Inseguono storie, più professionisti di certi investigatori privati e un po’ meno apprezzati dei saggisti.
E ispirano tanta simpatia, quando dalle interviste tv vedi quanto sono magri e piccolini, schiacciati da ogni lato fra colleghi mastodontici e guardie del corpo di sottospecie di vip!
Certo, l’amico esperto di politiche del lavoro che quando ti incontra ti chiede i dettagli del contratto, insieme al cronista d’assalto che ti sciorina i nomi dei nuovi ministri e ti interroga sui rispettivi ruoli, seguito dall’esperto di economia che ti consiglia sicurisssssimi investimenti, tutti insieme potrebbero rendere la giornata un po’ pesante, però è sempre bello avere accanto chi ti aggiorna su tutto, dai dettagli più stupidi agli avvenimenti più importanti.
Difficilmente potrei trovare giornalisti di gossip che mi possano aggiornare più delle amiche nei pomeriggi di spensieratezza, ma questo è un altro discorso…
Ci sono poi personaggi che non sono curiosi, critici, attenti, nè liberi nè tanto meno oggettivi, legittimati alla professione da una tessera presa chissà come, ma quelli si sa, non sono giornalisti.
I numeri del giornalista sono davvero tanti: 2, 3, 4 colonne, 21, 23, 25 righe, 7, 8, 9 euro per un articolo. No, scusate l’inesattezza: quest’ultimi, per essere precisi, non sono numeri da giornalisti, sono i numeri di giovani stagisti e bravissimi collaboratori ultraprecari che reggono le sorti di intere redazioni.
Cosa fare quando il contratto, alla voce “mansioni”, è pieno di espressioni generiche del tipo assistenza, supporto, coordinamento? Cercare rimedio! E di corsa! A leggersi sembra infatti il contratto più bello del mondo, pensi che dovrai ogni giorno scambiare le tue opinioni con persone competenti e appassionate, firmi baldanzoso con tale ottimismo e fiducia che Heidi a confronto l’associate alla musa dei Black Sabbath.
Passano i giorni – non tantissimi, ma abbastanza da convincerti di averci visto giusto – e tutto fila liscio, come previsto: incontri persone effettivamente capaci e competenti, le colleghe sono simpatiche, ti muovi in un ambiente stimolante e propositivo.
Fino a quando non arriva lei, la persona che non avresti potuto prevedere nemmeno con il maggiore sforzo di fantasia o il migliore software di pianificazione aziendale. Non vi dirò se uomo donna, se giovane o anziano: è talmente vicino al nulla che nulla cambierebbe a saperlo.
Arriva, e lo scambio di opinioni si trasforma nel dire tu quello che dovrebbe uscire dalla sua testa dato il suo ruolo, facendolo peraltro con le parole più diplomatiche che conosci (e considerato il mio scarso livello di diplomazia, sarebbe meglio dire “le parole più diplomatiche che non conosci, ma inventi con scarso risultato”).
Arriva, e lo scambio di opinioni diventa un passaggio di tuoi documenti e file redatti con senso critico e applicazione, esattamente quei due strumenti di lavoro che lo leggi sulla sua faccia che non li ha mai conosciuti.
Arriva, e pensi “me lo potevano dire prima”…
Ma il lavoro – come la vita – va così, cari miei ascoltatori di consigli regalati aggratisse!

E allora, poiché il mondo non è sempre come ce lo aspettiamo e Haidi sappiamo benissimo che è pura invenzione, il consiglio è: organigramma e informazioni prima di tutto!
Se il lavoro vi piace, mai rinunciarvi per qualche elemento scomodo, ma almeno arrivate preparati al peggio!

Oggi ho imparato proprio un bel po’ di cose, tutte attraverso la sperimentazione diretta, metodo empirico, direi!
Anzitutto ho imparato che non è vero che a Milano non c’è più la nebbia. Cos’altro era, allora, la nube bianca che mi ha sequestrata per circa due ore!? Cos’altro era, allora, quel nulla consistente che mi ha rubato qualunque riferimento sul territorio, che so, un palazzo, un pino secolare (l’hinterland milanese, si sa, pullula di pini secolari), una strada conosciuta…? Non è per caso la nebbia quell’agente atmosferico che ti fa giocare per ore ad “acqua-fuochino-fuoco” con l’imbocco dello svincolo giusto? Non è la nebbia che nasconde i cartelloni stradali? Potete immaginare la mia difficoltà, io che già quando c’è il bel nitore di primavera non riesco a leggere finchè non mi ci pianto sotto, figuratevi ieri… Ancora mi domando come non abbia scatenato tamponamenti a catena!
Insomma, non so come ammetterlo, ho girato a vuoto attorno a Rho-Pero senza trovare la via di casa per almeno un’ora e mezza…!
Che poi a me la nebbia piace: sè stessa e il suo contrario nello stesso momento, svela e rivela, protegge ed espone, ha una natura così poetica! La nebbia, altra cosa imparata ieri, magari ti nasconde le strade e le macchine, ma ti regala, talvolta, mezze confidenze delle persone, che magari ti raccontano progetti di vita, piccole preoccupazioni, sogni.
In tutto ciò poi, accompagnato il collega ad una fermata di metro di cui ignoravo l’esistenza e ritrovata la strada per casa, mentre ero presa dal non farmi trascinare via dalla strada o dai miei pensieri, mi sono resa conto che il meglio che passasse alla radio erano i Ricchi e poveri che stralciagolavano su “Mamma Maria”, sound tanto caro alle persone con difficoltà di parola (“ma-ma-ma-ma-mma-ma-ria-ma” in certi casi è un vero conforto per passare inosservati), ed è lì che ho capito la Verità, come illuminata sulla strada di Damasco: certi evergreen ti accompagnano ovunque!
Urla, sbraita, si accende come una miccia. Salta, sgomita, becca ammonizioni e minaccia punizioni.
Il coach è più del sesto giocatore in campo (quello mi dicono lo sia il pubblico tifoso), il coach è un faro, un mago che ha nella cartelletta appunti il suo cappello a cilindro e nel cambio di schema il suo coniglio bianco.
Stimato e temuto allo stesso tempo, i giocatori lo guardano come bambini rivolti ai genitori durante la prima recita scolastica: desiderosi di attendere alle sue aspettative e attenti a non sbagliare davanti ai suoi occhi.
E non importa che sia il più basso della compagnia, questo è anzi l’elemento chiave, simbolico del rispetto e dell’attenzione di cui gode: basta osservarlo nei time-out, quando i giocatori proprio fisicamente si inchinano alle sue parole (non è un venerando inchino, ma la necessità di arrivare là sotto a sentire cosa dice)…
Il coach sa, ben più di quanto non sapesse il prof di educazione fisica delle superiori.
Il coach aspetta, il recupero del giocatore infortunato prima o poi ci sarà.
Il coach è l’ultimo ad uscire dallo spogliatoio, raccatta scarpe (che in mano a lui sembrano scialuppe), felpe e confidenze.
Il coach guarda e sogna, e il campo diventa sterminato e lui è un grande fra i grandi.
Tantissimi potrebbero essere i numeri abbinati a questo tarocco: il 5 dei giocatori in campo, i 24 secondi di ogni azione, le 34 giornate di campionato o 3 (Laury, Angy, Nini) le sue tifose preferite…
Ma in realtà il suo non è nessuno di questi numeri, perchè lui semplicemente è… Il n. 1!
PS. La vignetta del coach anche su http://luciferocomics.blogspot.com/!
Secondo ed ultimo post dedicato al primo evento del Progetto ENVOY.
Il primo evento è finito e parlare di giornate folli definendole semplicemente esilaranti è dir poco…
1. Messa della fratellanza: qualcuno (personaggio presissimo dal far vedere che fa, sapendo benissimo che far vedere che si fa qualcosa è il modo migliore per non fare nulla) avrebbe dovuto predisporre una lettura in inglese, lasciare dei banchi liberi per le delegazioni straniere, chiedere di preparare le preghiere dei fedeli in varie lingue, organizzare l’offertorio. Non è stato fatto, e la messa della fratellanza ha rischiato di finire a lotta dura senza esclusione di colpi.
2. Deportati: diluvio improvviso, gli ospiti in visita ad un sito culturale restano bloccati dentro un vagone merci dismesso, sede di esposizioni. Li guardo da fuori e mi auguro non stiano pensando che il vagone improvvisamente parta per lasciarli in chissà quale campo, potrebbe essere il decreto di chiusura del progetto ENVOY.
3. Incidenti diplomatici: volevo solo dirle che non avrei immaginato avesse già un figlio grande, lei che sembrava così giovane, in sostanza quindi le ho detto che sembrava così giovane, che non è la stessa cosa di dire “sei così giovane”… Anche con le migliori intenzioni, rischi di far scoppiare una disputa fra Stati.
4. Economia del territorio: serate intere a tirar fino alle 3 con un gruppo di ospiti più giovani, 8 simpatici sloveni che hanno dato fondo alle scorte di tutti i bar della riviera jonica. L’ultimo giorno, fra fegato affaticato e testa intontita, non mi reggevo in piedi, ma ormai sono un mito dei ristoratori della zona!

In realtà è successo anche molto altro, ma preferisco che “gli angoli della mente diventino curve della memoria” e cerco di tenere con me solo quello che mi ha fatto ridere. Certo, sono tanti gli elementi su cui riflettere…
Il primo evento del progetto ENVOY, 5 giorni a (tentare di) parlare di buone pratiche nel settore del volontariato, è finito. Ho nuovi amici in nuovi angoli di Europa, nuovi contatti di lavoro e nuove idee in testa. Ho anche occhi un po’ più nuovi, perché un meeting internazionale è come un viaggio di esperienza.
Ho nuova rabbia davanti alla disorganizzazione, all’improvvisazione, al pressapochismo.
Ho nuove perplessità davanti ad egocentrismi che rendono le persone isole infelici e amare.
Ho nuove consapevolezze davanti a vecchi doppi giochi, a reti di ipocrisie, a scansioni dalle responsabilità.
Ho una caparbietà nuova ad andare a sbattere contro i muri, prima o poi qualcuno cadrà.
Ho una nuova certezza, davanti a quanto preso e lasciato dalla vita.
Ho una nuova speranza: insistere, ché qualcosa potrebbe anche cambiare.

In 40 arrivano da mezza Europa, di ogni età, colore, religione. Non li avevo mai visti prima…
Poteva succedere di tutto, ed è successo… E mi sa che succederà ancora!
Di questo progetto ENVOY, che seguirò per un paio di giorni, potrei farvi una cronaca esilarante, ma per mancanza di tempo, vi riservo solo le parti migliori, preziose imperdibili chicche!
1. Buffet di fine convegno, per fare la parte di quella accogliente mi avvicino ad una signorona sorridendo splendida “do you like it?”, con l’espressione della deficiente. Lei risponde “si”, ma non mi basta per capire che è italiana, quindi proseguo con “sicilian very tipical food!” (un very, quando parli inglese, lo devi sempre inserire). Lei risponde “lo so”, ma io ancora non capisco che ho davanti uno dei pochi italiani presenti in sala, per cui persevero con “well, hope you like it!”. Lei risponde “grazie” e solo allora, realizzando, divento rossa.
2. Gruppetto di ospiti stanchi, loro non parlano la mia lingua e io non parlo la loro, ma cerco di farmi capire e offro la mia macchina per accompagnarli all’hotel, dimenticando di avere un vecchio pandino bianco che non so quanto ancora resisterà.
Hanno valigie pesantissime (comincio a pensare trasportassero cadaveri), che finiscono nel portabagagli posteriore. Li faccio diciamo “accomodare” in macchina, caricandoli anche di pacchi miei e ignorando completamente che avevo parcheggiato in folle in salita… Con le parole non riuscirò mai a descrivere le loro facce mentre vedono la macchina scivolare lentamente all’ingiù in retromarcia e me ferma che li guardo dal marciapiede… E non riuscirò mai a descrivere la loro espressione di sollievo appena arrivati a destinazione…

Fino a stamattina sistemavo cartellette e moduli da far firmare, temendo lamentele sul solito “italian mood” da pare della precisissima Europa civilizzata… Poi gli piazzi davanti focaccia e arancini e tutto scorre!
A domani, dal diario di bordo della nave ENVOY!

Una delle mie grandi passioni di bambina erano i puzzle. Grandi, colorati e complicati, rimanevo per ore a cercare l’incastro esatto per vedere l’immagine che a poco a poco si componeva davanti ai miei occhi, per lasciar scivolare la mano sul lucido del cartone semiplastificato, per scrutarne i dettagli. Ricordo che avevo una tecnica molto efficace: osservavo con attenzione l’immagine da comporre dalla copertina della scatola per cogliere ogni sfumatura di colore, poi dividevo i pezzi in lunghi e corti e cominciavo a cercare l’incastro da quelli con il colore meno presente nella foto, quindi più facili da individuare e montare. Cercavo poi di creare altri due tre nuclei di pezzi di immagine e progressivamente collegavo queste parti principali allargandole sempre di più. Ogni tanto, per spezzare una procedura talvolta monotona, assemblavo i pezzi della cornice, fino a completarlo tutto. Ho composto puzzle di 2.500-3.000 pezzi, un buon livello direi!
Adesso che sono adulta (…?) non ho più molto tempo da dedicare ai puzzle purtroppo, però vedo che quel passatempo non è stato inutile, adesso che il mio lavoro è un continuo montare puzzle, mettere insieme pezzi diversi, cercare l’incastro, conciliare… E alla fine ricostruire il quadro!
Bene, tutto bello, si… Tranne quando ti accorgi, come me in questo momento, che manca sempre qualche pezzo!
Questo post ha il nobile scopo di sfatare due grandi miti sull’uso dello smartphone come strumento di lavoro.

Mito n. 1: “bello-lo-smartphone-si-gli-manca-solo-di-fare-il-caffè“. Il mio blackberry, vecchiotto, passatissimo, ammaccato da mille cadute, avvilito da un software che ogni due per tre chiede di essere aggiornato, bloccato dal blackout di Blackberry che ha colpito l’universo interno, lui lo fa. Tecnicamente non prepara il caffè come fossa la moka di casa o la macchinetta del bar, ma da quando è affogato in una calda tazzina, emana un profumo così buono e fragrante che funziona meglio dei PocketCoffee. Eh si, il povero bb m’è caduto nel caffè! Che poi, essendo un bb vecchia classe buona tempra, ancora funziona! Riceve e manda segnali, l’unico problema è che il caffè asciugandosi ha creato uno strato morbido sotto ai tasti, che adesso, premendoli, non fanno contatto con il comando desiderato. In pratica funziona, ma non posso neanche schiacciare il tasto OK per ricevere la chiamata…
Garantisco però, torno a dire, che il profumo è buonissimo, l’aroma si sente 24 ore su 24, meglio degli spray per ambiente. Il mio bb, dunque, rappresenta una fase di passaggio, un momento evolutivo nel processo che va dal semplice telefono al multifunzione caffè incluso, e di questo sono molto orgogliosa.

Mito n. 2: “Poter-controllare-la-mail-ogni-minuto-mette-ansia: il bb di cui sopra ha vissuto con me per circa due anni e mezzo. Ha proprio vissuto, è il termine giusto, dal momento che mi ha trasmesso voci, pensieri, condiviso viaggi, arrabbiature, attese e speranze. Figuratevi che quella volta che l’ho portato all’assistenza per lasciarlo per circa un mese, ho tanto piagnucolato, fatto raccomandazioni e tentennato che l’opertore mi disse “signorina un telefono mi sta lasciando, mica un figlio”!
In due anni e mezzo di mail onnipresente, poter leggere la posta in tempo reale, vedere commenti e notifiche varie mi ha rassicurato tantissimo. Psicologi neanche troppo esperti diranno che dipende da un desiderio di controllo su tutto, mentre amici aggiornati diranno che sono workaholic (che brutta parola per dire malata di lavoro). tant’è che io mi ero abituata e stavo benissimo. L’ansia semmai lo smartphone te la fa venire quando non ce l’hai più, e sei pressato da non si sa cosa per correre a casa o in ufficio a leggere le novità sulla posta… Bello fare gli alternativi con il telefono vecchissima generazione di 29.90 €. bello avere l’alibi del “non vedo la posta” per evitare di lavorare troppo, bello non perdere due ore per registrare un numero, bello si, ma… Quanto mi manchi, Blackberry!

Tutto questo, amici, per dirvi (aprire bene le orecchie): ho perso i vostri numeri e non leggo più la posta in diretta!
Sfatiamo insieme il Mito n. 3: “Una-volta-opersa-la-rubrica-del-telefono-non-è-possibile-recuperare-tutti-i-contatti“!

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