Per ribadire la tendenza di Aggratisse! a dare consigli superflui su argomenti fondamentali, oggi si parla di… curriculum!
Lo spunto è (ri)nato dalla lettura di un articolo di Repubblica di qualche giorno fa: http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/07/19/news/curriculum_blog-19304635/index.html?ref=search,
Addio vecchio curriculum: per un lavoro meglio il blog“. In un titolo, una combinazione delle tre parole che hanno fatto nascere 104curriculum: blog, lavoro, curriculum!
Secondo uno studio inglese (ma quanto studiano gli inglesi!? Esce uno studio inglese al giorno su qualsiasi argomento!) un po’ ironico un po’ serio , il curriculum formato europeo schematico ed omologato non funziona più, meglio personalizzarlo e avere una buona visibilità sui social network.
In linea di massima sono d’accordo con gli inglesi che, d’altra parte, riprendono un assioma difficilmente criticabile e forse neanche tanto nuovo (si sentiva proprio il bisogno di questo studio, che ha rivelato verità scomode e aperto nuove prospettive).
Sulla visibilità della propria immagine online diremo altrove, ora pensiamo al buon vecchio cv.
A me quel “personalizzare il proprio cv” mi pare abbastanza controverso (a-me-mi non si può dire, tantomeno scrivere, a meno che tu non sia Camilleri-che-si-prende-la-licenza-letteraria-per-far-esprimere-i-suoi-personaggi-esattamente-come-parlerebbero-se-fossero-reali. Non sono Camilleri, ma la licenza me la prendo ugualmente).
Con quel personalizzare ‘sti genialoni inglesi intendono non tanto di adottare grafiche accattivanti o esprimere al meglio le informazioni contenute, no, loro consigliano di arricchire il proprio cv condendolo di dettagli non proprio reali, esattamente di “arruffianarlo”… Bravi! Bravi gli inglesini! Insegnamo ai ragazzi che a bluffare si vince, bravi!
No ragazzi, no: se lo stage è durato tre mesi, allora è durato tre mesi e si scrive che è durato tre mesi. Se l’azienda era piccola e a conduzione familiare, ma un po’ vi spiace scriverlo perchè puntate ad una multinazionale, allora piuttosto che citare br…iefing e br…ainstorming e altre br…utte simili parole, meglio scrivere che eravate così pochi che il principale (bella espressione purtroppo in decadenza) offriva the e biscotti durante gli incontri… Questo si che è personalizzare per non farsi dimenticare!

Personalizzare il cv, per me, significa ad esempio, dare uno spazio ed una visibilità diversa alle informazioni.
Aggratisse! nell’ordine:
1. Se siete neolaureati o cercate un primo lavoro allora le informazioni relative alla formazione vanno in prima pagina, subito dopo i dati anagrafici;
2. Se invece qualche lavoro l’avete già fatto, avete superato i trent’anni e le ragazzine per strada vi chiamano signora/signore, allora no, non è proprio il caso di proporre in prima pagina una laurea vecchia di dieci anni, meglio spostare la formazione in coda e mettere in rilievo le esperienze professionali svolte.
3. Se avete fatto tanti lavoretti diversi, piuttosto che cancellare le voci perchè vi sembrano inutili, cercate di aggregarle creando dei sommari, servirà a fare chiarezza e a presentarvi come flessibili e dinamici.
4. Man mano che il curriculum prenderà corpo, i lavori si succederanno (ottimismo, accadrà!), allora a poco a poco potrete omettere le info meno utili, togliendole in base al destinatario del vostro cv.
5. Via libera a caratteri diversi,colori, intestazione personalizzata, una foto, qualche commento! Insomma si, per una volta ascoltiamo gli inglesi e personalizziamo, ma senza eccedere (a meno che non vi dobbiate candidare ad un posto di grafico creativo).

Non so dare modelli, ma si accettano richieste di pareri…!

PS. Qualche tempo fa si parlò del curriculum geneticamente modificato di qualche ministro, ricordo che fu duramente criticato e per un po’ tutto il Paese ci rise sopra. Meditate gente, meditate…
PPS. Da quando ho aperto il blog molte persone, amici e sconosciuti, mi hanno chiesto un post con consigli e la mia opinione sul formato di cv da adottare e su come scrivere un buon cv. Pensavano avrei dato una risposta seria a questa richiesta, pensavano avrei affrontato con competenza e professionalità l’argomento… Come avete potuto leggere, si sbagliavano! Perchè non ho la competenza e la professionalità necessarie per farlo, ma soprattutto, ormai lo sapete, non ho la serietà richiesta…!

Li ho rivisti ieri sera, sul treno del ritorno. Non li avevo più incontrati da quell’11 maggio in cui erano seduti di fronte a me e ho pensato i loro pensieri e disegnato il loro momento.
Ieri lei era sempre ancora stanca, lui entusiasta. Non so di cosa fosse entusiasta, ma era evidente che lo fosse. Ah no, lo so di cosa era entusiasta, della vita… Lei aspetta un bimbo!
Lei aspetta e lui ingrassa, ma questa non è una rarità, capita a moltissime coppie di lievitare insieme quando lei aspetta.
Anche lei era felice, chiaramente, stanca, ma felice. Ha tagliato i capelli, come fanno molte donne in gravidanza. Dicono sia per praticità, ma un mio amico psichiatra mi ha spiegato che fa parte di un meccanismo inconscio ben noto alla psichiatria e che riporta alla concezione radicata da secoli secondo la quale i capelli lunghi sono uno strumento di seduzione primaria, per cui la donna/madre li taglia pensando sia per praticità, ma in realtà perchè inconsciamente pensa di non averne più bisogno per sedurre (tutto ciò il mio amico psichiatra avrebbe saputo spiegarlo, anzi lo spiegò proprio, molto meglio e usando molte meno parole, bontà sua e dei suoi studi!).
Che belli che erano, anche ieri! Ancora affaticati dal caldo, ancora pendolari del lavoro e della vita, ancora così semplici e così veri, così belli!
Sanno benissimo, si legge nei loro occhi (per quanto dissimulanti d’entusiasmo), che a breve entreranno a pieno diritto nelle famiglie cui questo nostro Paese non offre alcuna assistenza, alcun aiuto, alcun servizio. Sanno benissimo che sarà un saliscendi di suocere (dalla lieve lieve lieve inflessione dell’accento si avverte una certa origine partenopea…) perchè non potranno pagare una babysitter tutti i giorni tutto l’anno, e lei comunque non potrà lasciare per troppo tempo il lavoro o il lavoro lascerà lei.
Sanno benissimo che fra pappe e pannolini se ne andrà un mare di soldi mentre le entrate saranno il solito torrente che rasenta sempre più la secca.
Lei sa benissimo che in questi mesi leggerà consigli inutili da parte di mamme famose e sfrontate nella loro insolenza, che ti dicono come crescere figli e pensare a te stessa, dimenticando di dirti che lavorano in proprio, hanno un marito facoltoso e uno stuolo di babysitter che neanche un nido aziendale (mentre lei sa benissimo che non avrà neanche il nido aziendale).
Sanno benissimo tutto ciò, e io non voglio smorzare il loro entusiasmo richiamando solo aspetti negativi.
Sanno benissimo tutto ciò e sono belli apposta, perchè hanno gli occhi limpidi di entusiasmo e felicità. Quanto ridevano ieri! Ridono alla faccia delle beghe politiche e della crisi sociale, con quella beata felicità senza misura, che niente e nessuno, per quanto stupido e potente, potrà intaccare.
Auguri ragazzi!
Tu – con i capelli corti, jeans e zainetto tipo studente, Lei – gonna e tacchi.
Tu – se stai zitta in un angolo, Lei – quando dimostri di avere qualcosa da dire.
Lei – se parli di questioni troppo alte, tu – se parli di contatti che vorrebbero raggiungere.
Lei – gli alunni di terza che ti vedono come una anzianotta, tu – che ogni tanto scappa agli alunni di prima che ti chiamano come la maestra.
Tu – se corri a prendere la metro con mille cose in mano, Lei – quando leggi un libro in tram.
Tu – quando sentono al telefono una voce da ragazzina, Lei – quando leggono il curriculum.
Lei – fino a quando mi osservavano a vista per capire se ero la collaboratrice giusta, Tu – adesso che risolvo mille problemi.
Tu – fino a quando dicevo si, Lei – da quando sono iniziati i no.
Lei – per le cene di lavoro, Tu – quando vai a scarpinare per riunioni in posti impensabili.
Lei – fino a quando non riesci a strappare una risata, tu – fino a quando non dici qualcosa che li metta in gioco.
Non ci ha pensato Lei? Tanto ci pensi tu!

Tu o Lei misurano ancora il grado di professionalità che il contesto intorno a te ti assegna?
Cambio mille volte nell’arco della giornata, specchiata nella percezione sempre diversa di chi mi sta davanti.
In ogni caso, anche se a volte denota disistima, preferisco sempre il tu, “la dott.ssa” non si volta mai, “Angela” è un lasciapassare per la mia attenzione!

La settimana scorsa mi sono arrivate le bozze di una monografia che ho in pre-stampa e di un articolo da inserire in un volume di atti di un convegno al quale ho partecipato tempo fa.
Ieri, invece, sono tornata a casa a parlare di casa, cioè sono tornata all’Università di Messina per presentare ad un convegno un progetto su Savoca, il mio bel paesello di residenza, al quale lavoro come consulente archeologo.
Tutto questo per dire, in sostanza, che per lavoro io studio, mi occupo di ricerca.
Ehm, chiaramente non faccio saltare in aria laboratori con esperimenti chimici che non riuscirebbero mai, data la mia innata tendenza alla distrazione, nè sto lì ore ed ore a cercare di capire come fa a galleggiare un corpo immerso in un liquido, e non voglio neanche sapere com’è che vola l’aereo che prenderò (Etna permettendo!) domani.
Mi occupo di ricerca scientifica in campo umanistico.
Il meccanismo è semplice: ci sono state anni fa un’istituzione, un’università, una fondazione, un’agenzia europea che a turno hanno investito su di me, ritenendo fosse utile pagare per farmi continuare a studiare anche finita l’università. E questo di per sè già costituisce lavoro, qualcuno ti paga non per fare belle acconciature, non per difenderlo in tribunale, non perchè vendi frutta buonissima o tinteggi pareti che manco Leonardo, ma per studiare. Non è meraviglioso!?
Anche adesso questo è il mio lavoro, ora che committenti vari, che sanno che ho studiato tanto tanto tanto, mi cercano perchè studi ancora di più, magari su argomenti specifici. E così mi è stato chiesto di studiare non solo monetine e muri antichi, ma anche bandi  per l’energia e il management nel settore agroalimentare… E ho imparato cose diverse, delle quali mai pensavo mi sarei interessata (io e i catalizzatori esausti cosa avremmo in comune adesso, se non l’essere esausti!?)…
E così rispondo alla domanda di cui sopra: è meraviglioso!

P.S. Ovviamente studiare non è un lavoro, vero, noooo, ci mancherebbe! Come si potrebbe pensare che stare ore chiusi in un laboratorio o in una biblioteca sia un lavoro? No, solo ti passi il tempo! D’altra parte, se fosse un lavoro vero e prestigioso sarebbe ben remunerato, porterebbe delle tutele, i contratti sarebbero più tipici di un buon formaggio altoatesino, darebbe credito e ascolto da parte di tutti.
Fortunatamente, non trattandosi di un lavoro vero, tutto questo non accade. Fortunatamente la protesta dei ricercatori ha avuto pochi giorni di visibilità sui media e non grande seguito; la nostra classe dirigente tutta fortunatamente non ascolta i suggerimenti di chi studia da anni a proposito di nuove tecnologie, di energia, di ambiente, di lavoro, di dinamiche sociali, di medicina, di beni culturali e fortunatamente si affida ad una forsennata improvvisazione.
Fortunatamente faccio anche un altro lavoro, altrimenti non sarei qui a raccontarvi quanto è bello fare ricerca, ma me ne andrei di corsa a cercare qualcosa di più stabile e duraturo.

Argomento gettonatissimo, alto rischio di dire ovvietà…
Argomento gettonatissimo soprattutto in un divenire storico così rapido in cui essere nessuno e spacciarsi per l’Uno è un attimo (RED ALERT: ovvietà level 1).
Vista la povertà del settore, nonchè la stagnazione di determinati rapporti e dinamiche, io direi, per cominciare – così ho fatto – di guardare ed ascoltare, considerando qualsiasi input, qualsiasi segnale, qualsiasi titolo di giornale una possibile fonte di contatti futuri: insomma, sveglia! Mi rendo conto che può sembrare poco credibile un invito da parte mia ad ascoltare e, soprattutto, guardare con attenzione, essendo ormai nota e proverbiale la mia miopia, ma quello che si deve attivare nel cercare contatti di lavoro è una vista mentale ampia, che faccia andare oltre il contingente e vedere il potenziale. Peraltro, a causa della miopia di cui sopra, mi sono trovata al centro di scenette esilaranti (vedi tu che novità!), attaccata a manifesti pubblicitari di iniziative culturali per leggere i dettagli dei loghi di partner e sponsor… (RED ALERT: ovvietà level 2).
Ci sono stati periodi in cui, per seguire io stessa il consiglio di cui sopra, mi sono trovata sommersa di ritagli di giornali, post-it con appuntati nomi e luoghi improbabili, indirizzi mail che non ero più in grado di ricondurre ad una persona o un ente… Per evitare, quindi, di essere spazzati fuori casa voi e il vostro disordine di carta, non resta altro che aggiungere: sintesi! Effettuata la raccolta, ripassate tutto il materiale con spirito critico – molto critico – ed eliminate tutto quello che, con un minimo di buon senso, riconoscete come superfluo, inutile o proprio di nessun interesse per voi. Un esempio per tutti: se non avete alcuna intenzione di alzarvi la mattina e non trovarvi il mare davanti andando a lavorare, beh, dite addio a quell’interessantissimo contatto in Trentino!
Occhio soprattutto a dimensionare o addirittura escludere tutto quello che alla fine non è funzionale a ciò che vorreste fare o vorreste essere: sono una grande fan della dura e faticosa gavetta, quel percorso personalissimo che ognuno di noi costruisce giorno per giorno, apprendendo ad ogni esperienza qualcosa in più.
Sono anche una grande fan della parola “multifunzionale”, del saper fare più cose, perchè anche dalla più infelice delle esperienze si può portare con sè qualcosa da riversare in un nuovo lavoro. Tutto ciò, però, andrebbe fatto cercando di tenersi lungo la linea ideale dei propri sogni, o almeno in prossimità di essa (RED ALERT: ovvietà level 3).
Bene: se avete seguito fin qui, ora dovreste avere una piccola rubrica e una mappa di posti da frequentare per incontrare persone interessanti: allora movimento! Partecipate ad incontri, sentite di cosa si parla in giro, come si muovono i colleghi intorno a voi. Chiaramente è un investimento in termini di tempo, soldi, fatica e come ogni investimento porta risultati se fatto bene, con pazienza, semplicità e un po’ di faccia tosta in certi casi! (RED ALERT: ovvietà level 4). 
Ricordiamo, comunque, che si tutto è utile, ma niente sia utilitaristico: i vostri contatti professionali sono anzitutto contatti umani, pur con il dovuto distacco: perciò sempre correttezza e umanità! (RED ALERT: ovvietà level 5). 
Quando nel frattempo avrete letto libri, partecipato a seminari, ascoltato dischi e concerti, e penserete di essere avanti a tutti, i migliori di tutti, che solo per la vostra preparazione il mercato non dovrebbe altro che offrirvi mille opportunità, allora… Umiltà! Imparare e ancora imparare, anche mentre non state più aspettando, anche quando vi sembra di capire molto meglio dei vostri referenti, anche quando a parlarvi è l’ultimo arrivato…
Anche quando a parlarvi sono io, con i miei consigli strampalati! (Green: GO)!
Perchè iniziare con una triste pausa pranzo con un triste piatto unico di dietetica bresaola una triste settimana enogastronomica?
Non è meglio far rosolare mezza cipolla nell’olio e farci saltare dentro funghi con zucchine e carote, il tutto al profumo di timo, preparare nel frattempo una bella besciamella con latte, farina, burro e un pizzico di sale e poi condirci le lasagne e tenerle in forno per una ventina di minuti?
Meglio! Facile e decisamente meglio!
Domani isolarne una porzione abbondante da riscaldare nel microonde sarà ancora più facile e piacevole!
Sul perchè mi trovo a cucinare funghi nel caldo di un bel giugno inoltrato ora non posso spiegarlo, vi basti sapere che da un paio di giorni ne sto rivalutando la dimensione estiva…

Il consiglio sul piatto della settimana, miei affezionati chef, lo potete immaginare: aborro la besciamella già pronta! Dedicatevi un quarto d’ora di tempo per voi e preparatela in casa, oggi è domenica e potete farlo, la besciamella già pronta la usa chi non si vuole abbastanza bene…
Buon pranzo, amici, oggi e domani!

La sveglia, caffè, macchina, altre macchine in coda, confusione, rotonde con mille uscite non segnalate, ritardo su ritardo, due uomini in strada che si prendono a calci e pugni per una richiesta di informazioni, la fiera, un’afa impropria.
Cultura nei capannoni, cultura comunque ben fatta,  partecipazione.
Sorprese, amici vecchi di cinquant’anni, compagne di scuola di una vita fa, coca-cola ghiaccio limone, caffè, caffè, caffè.
Riunione con: Chiusura e incapacità, Prudenza e solarità, Ascolto, Precisione e critica, Pazienza tanta pazienza, Disinvoltura, padronanza, boss.
Macchina, altre macchine in coda, sole forse al tramonto, strada libera, città, sorriso.
Bicicletta, relax, tg.
Piatti, pc, silenzio, stop.
Le due certezze dell’anno: prima o poi il Natale arriva, prima o poi l’anno scolastico finisce.
E così, anche per quest’anno, è finita la scuola (in attesa del 25 dicembre per altre certezze)…
Che importanza ha? – vi chiederete – per te dovrebbe essere finita da un pezzo…
Facciamo un passo indietro.
Qualche mese fa, la rivista Walk On Job ha pubblicato un’inchiesta http://www.walkonjob.it/articoli/902-articoli/211-il-doppio-triplo-quadruplo-lavoro-larte-di-vivere-da-precari-multitasking sui tanti giovani che svolgono più di un lavoro, spinti dalla precarietà, dagli stipendi bassi, dal desiderio di essere autonomi e da tutti quegli altri motivi che noi precari conosciamo bene ma che coloro che dovrebbero conoscere meglio di noi (e risolvere) spesso ignorano.
L’articolo in questione descrive bene questi equilibristi del multilavoro, quella che si potrebbe definire “Generazione 1000 € = 300+400+300”, anche detta “un lavoro non basta mai”…
Bene, io mi trovo lì, ben schierata nelle file numerose, assolutamente non coperte e in allineamento sparso dei giovani con tanti lavori!
Per questa ragione, quando mi domandano “tu che lavoro fai?”, la risposta non è mai semplice, anzi, di un’articolazione tale che richiederà più post per essere esaustiva.
Cominciamo dal lavoro più normale, o regolare… Forse sarebbe più corretto dire, cominciamo dal lavoro più facilmente definibile con una parola (gli altri, vedrete, sono incarichi non spiegabili con meno di 35 parole): insegnante, anche detta prof.
Eh si, qualche giorno fa sono stata fra i tanti docenti che hanno esultato più dei loro alunni per la fine della scuola, che hanno lanciato in aria il registro per la gioia, che l’hanno scritto su facebook che la scuola era finita, hanno brindato col prosecco e hanno chiamato amici e parenti per condividere la felicità!
Si, si, vi posso garantire che ho fatto tutto ciò! Il che diventa ancora più esilarante se considerate che ho insegnato per sole 5 ore alla settimana…
In realtà l’anno scolastico non è ancora finito, domani consegneremo le pagelle alle famiglie, poi dovrò riportare il registro in segreteria e altre amene attività burocratiche, ma quel che conta è che sono finite le lezioni! Niente più ragazzini urlanti e bambini lamentosi, niente più colleghe sagge e stressate, anziane cariatidi lanciate contro le giovani supplenti, niente più!
Ma soprattutto: niente più genitori per i quali il proprio figlio è sempre e comunque il migliore della scuola, anche quando ti parla del muro di Dublino e delle famose mareggiate in Lombardia, per i quali la scuola deve formare delicatamente per cui non puoi mettere la nota sul registro “o il ragazzo si traumatizza”, per i quali 9 è un brutto voto e tu non sei abbastanza preparata per giudicare il loro tesssoro! Niente più!
Il lavoro dell’insegnante è un lavoro nobile, di valore, ma purtroppo oggi i poveri docenti devono lottare contro mille fonti di delegittimazione che li rendono “pupi” all’occhio degli alunni, quegli stessi alunni che dovrebbero, invece, guardarli con curiosità e ammirato rispetto.
Certo, dal punto di vista umano non ha pari: guardi i ragazzi e vedi come saranno, come potrebbero diventare, come non saranno mai. Ti raccontano le loro storie, i viaggi, le speranze… Conosco, senza averle mai viste, famiglie, fidanzatine, camerette…Fra una supplenza e l’altra ho accumulato già qualche anno di insegnamento in diverse materie e in giro per parecchie scuole, e non c’è un paio di occhioni preadolescenziali che un prof. possa dimenticare…
Eppure non basta… Quando svolgi un lavoro che non ti piace, per il quale non ti senti adatto, è difficile trovare qualcosa di positivo, che ti renda leggeri gli obblighi e i sacrifici… Se a questo si aggiungono madre preside e padre insegnante, per cui sento parlare di scuola da quando sono nata… Beh, amici e colleghi, perdonatemi se non ne potevo proprio più!
W la scuola pubblica!
Sbattere tre uova lentamente, con calma e delicatezza, tanto non devono montare a spuma.
Sbucciare due zucchine e affettarle a rondelle, lasciandole cadere dolcemente nell’uovo.
Tagliare a pezzetti mezza scamorza affumicata, assecondandone gli angoli.
Aggiungere la pancetta dolce, mangiandone qualche dadino come assaggio.
Salare e pepare.
Disporre una pastasfoglia tonda in una teglia adatta per forma e dimensioni e versarci sopra l’impasto, sistemandolo con un cucchiaio.
Piegare i bordi ed infornare, nel forno già caldo.
Ammirare la torta salata mentre cuoce lentamente, per circa 40 minuti: il condimento si asciuga, la torta si gonfia, i bordi prendono un bel colore dorato, il profumo esce dal forno.
Lasciarle tutto il tempo di raffreddare e mangiarla, l’indomani, facendo due chiacchiere con i colleghi, possibilmente evitando di parlare di lavoro.
Provare per credere: se riuscirete a fare tutte queste operazioni con la giusta calma e serenità, mi ringrazierete per avervi in qualche modo regalato un momento di relax.
Inizia Aggratisse! – Consigli in libertà!
Premessa necessaria: sono convinta che i consigli si possano dare solo sulla base di un’esperienza vissuta direttamente e che comunque vanno adattati al contesto di ciascuno di noi.
Per queste ragioni, i consiglidi Aggratisse! prenderanno sempre spunto da avvenimenti realmente accaduti e saranno comunque molto generici, in modo che ognuno ne possa prendere la parte che interessa, trascurando i dettagli che potrebbero compromettergli la carriera…
Cominciamo subito con un argomento spinosissimo, la richiesta di ferie al terzo giorno di lavoro… Starete pensando “ma figurati, chi è che va a parlare di ferie al terzo giorno di lavoro!? Non esiste! Non si fa!”… Amici, vi garantisco che l’ho fatto!
Che poi in teoria quelle ferie non le avrei neanche chieste, non mi interessava molto fare vacanza: lavoro tanto atteso e appena iniziato, persone mai viste da conoscere, un sacco di cose nuove da imparare… Diciamo che in assoluto la vacanza non mi interessava in quel momento.
Già, “in assoluto“, perchè poi c’è da scendere “nello specifico“, e nello specifico in quel momento si avvicinava Pasqua e tutti sanno quant’è bella la Pasqua in Sicilia: pensi al giro dei sepolcri con le amiche il giovedì, al pesce fresco il venerdì, alla granita+mare+giretto a Taormina del sabato, alla salsicciata della Pasquetta…
E le amiche sparse per l’Italia pronte a tornare al paesello che ti chiamano come le sirene di Ulisse “vieni Angy, vieni! Saremo tutti lì a divertirci, non puoi mancare solo tu”… Come fai a non resistere, come!?
E così, con una nonchalance degna di un notaio quando emette la parcella come se parlasse di spiccioli, con la stessa simulata indifferenza di chi sbircia l’oroscopo al quale non crede ma non si sa mai s’avverasse, m’avvicino al mio referente (conosciuto neanche una settimana prima), esattamente la persona che dovrebbe fare da garante del buon esito del mio lavoro, che sta a me come l’uomo del monte sta ai raccoglitori di ananas (se ha detto si lui, io continuo a lavorare), e butto lì un “vorrei capire come organizzarmi per Pasqua”…
Stava camminando due passi avanti a me, si ferma, si gira, mi guarda come se gli avessi detto “vorrei capire come organizzarmi per la prossima spedizione sulla luna” ed enigmatico risponde “adesso vediamo”.
Diciamo che come risposta non è stata proprio incoraggiante, e così non sono più tornata sull’argomento. Alcuni giorni prima di Pasqua guardo qualche sito web di compagnie aeree, pensando che magari da un momento all’altro poteva arrivare la telefonata liberatoria: Milano-Catania costa già come andare alle Barbados con tanto di cocktail di benvenuto, perciò rinuncio.
Inizia la Settimana Santa: giovedì in ufficio, venerdì mattina in ufficio, venerdì pomeriggio squilla il cellulare, è lui. “E allora, questa Sicilia”, “ehm, no, veramente non ne abbiamo più parlato e ho pensato fosse meglio restare qua”… “Me lo sono completamente dimenticato, ma tu potevi riprendere l’argomento… Per noi potevi tranquillamente andare, non c’ho proprio pensato a dirtelo”!

Era la Settimana Santa, non potevo esternare ad alta voce i miei pensieri, e non posso neanche adesso, ma su un paio di cose possiamo qui discutere:
1. Lavorare è bello, ma fare vacanza pure, vale la pena d’insistere, meglio se con stile ed educazione, l’invasione di mail e post-it non credo porti risultati.
2. A quanto pare io avrei male interpretato il tono della risposta, per cui possiamo dire che il metodo “tipo-disinteressato” aveva funzionato… Avanti ragazzi, un bello specchio ed esercitazione seria e costante, la faccia da “mi-trovo-qui-per-caso-e-il-pensiero-che-mi-passa-per-la-testa-te-lo-dico” non si improvvisa!

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